Artigianato

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Cardatura della lana con "lo scardasso"
Il cardo

I Lanaioli di Pietracamela

Un antico mestiere in cui i “pretaroli” primeggiavano, strettamente legato alla pastorizia, era quello della cardatura (il termine cardare deriva da cardo, la pianta selvatica, usata anticamente per sciogliere e districare le fibre della lana grazie alle sue infiorescenze secche dotate di aculei) della lana.

Sul finire di maggio, una volta tosate le pecore, la lana veniva lavata e messa ad asciugare ed in un secondo momento sottoposta a pettinatura: un processo di lavorazione in cui erano specializzati i lanaioli.
La cardatura permetteva di districare e liberare dai residui spinosi le fibre della lana, prima della filatura. Dapprima la lana veniva inumidita con delle gocce d’olio di oliva e, subito dopo la si pressava in una cesta di vimini in modo tale da farla ammorbidire uniformemente; si preparava poi lo scardatore e, sulla parte inferiore di esso, venivano stese più manate di lana prelevate dalla cesta con l'utilizzo della parte superiore che fungeva da una sorta di tavoletta fermaglio; successivamente la lana veniva passava più volte avanti ed indietro su se stesa, fino ad essere ridotta in due soffici rotoli, che ad una seconda passata si suddividevano in quattro più sottili, “li micilli”, già pronti per essere filati.

Oltre a lavorare a domicilio, il lanaiolo, durante la stagione estiva si spostava nel contado di casolare in casolare con il suo attrezzo del mestiere “lo scardasso” e forniva alle famiglie la sua manodopera ricompensata spesso con beni di prima necessità; a Castelli per esempio la clientela preferiva pagare in “piatti” dandone uno per ogni kg di cardato.

Il lanaiolo rappresentava un personaggio di un certo rilievo nella passata civiltà agro-pastorale, infatti a Pietracamela per incutere rispetto “li lanire” avevano coniato un proprio gergo, compreso solo dagli appartenenti alla cerchia, il “parlare in trignana”.

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